“Molte parole vengono utilizzate come buzzword, termini pubblicitari alla moda e dal significato vago. ‘Metaverso’ è una di queste”, spiega a Ghislieri.it il nostro Alunno Mauro Vanetti, programmatore specializzato in realtà aumentata e docente a contratto di Game Design presso la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. “In sostanza, dire ‘Metaverso’ è un modo sofisticato per indicare una qualche forma di comunicazione interpersonale in uno spazio simulato: solitamente, una chat vocale in un ambiente 3D, magari in realtà virtuale o aumentata”. Ma, sulla prospettiva che possa costituire “un nuovo capitolo per internet e per tutti noi”, come annunciato dal CEO di Facebook Mark Zuckerberg, il dott. Vanetti si mostra molto scettico: “Non credo che il Metaverso rivoluzionerà la nostra vita: dal punto di vista professionale è solo un modo scomodo di chattare; in qualche caso può essere più simpatico di una chiamata Zoom per motivi personali; le applicazioni più interessanti sono probabilmente nei videogiochi multiplayer, dove tuttavia tecnologie simili esistono già da tempo”.
Di recente il dott. Vanetti è intervenuto criticamente con un’intervista a margine della creazione, da parte della blockchain Cardano, di una città digitale denominata Pavia.io, proprio come la città in cui Vanetti è cresciuto, si è laureato e lavora. Interpellato dal quotidiano La Provincia, giustamente incuriosito dall’omonimia con questa Pavia virtuale che molto poco ha di simile a quella reale, il dott. Vanetti ha illustrato pregi e (soprattutto) difetti di questo terreno virtuale di cui accaparrarsi appezzamenti sotto forma di non-fungible token. Ghislieri.it gli ha chiesto di approfondire l’argomento.
“Cardano è il nome di una piattaforma blockchain su cui si regge la criptovaluta ADA (con riferimento alla pioniera ottecentesca dell’informatica Ada Lovelace)”, spiega. “L’unico collegamento con Pavia è appunto nel nome: Pavia.io è immaginata come una città virtuale ma questa città non ha nulla di neppure remotamente simile alla vera Pavia, sembra una via di mezzo tra un centro commerciale e un quartiere finanziario giapponese. I metaversi non hanno nessun bisogno di basarsi sulla blockchain e di utilizzare criptovalute, ma alcuni lo fanno: l’idea in questo caso è rendere possibile la compravendita di terreni virtuali. I terreni virtuali sono trattati come NFT, i cui cambi di proprietà sono registrati su un database diffuso noto appunto come blockchain. Mi duole dire che considero questa combinazione tecnologica alla stregua di un elaborato meccanismo di speculazione immobiliare. Si crea una scarsità artificiale di beni immateriali per cavarne un profitto ‘gonfiato’”.
“Le criptovalute”, prosegue, “sono un tema estremamente controverso. Credo che sia una lettura superficiale quella che vede in queste forme monetarie una rivoluzione all’insegna della ‘finanza decentralizzata’, tanto più vista la crescente centralizzazione e i sempre più opachi oligopolii che dominano il settore. Come si è visto col crollo del Bitcoin e di tutte le altre criptovalute avvenuto quest’anno, queste valute digitali sono molto instabili e non sono adatte come mezzo di scambio; non essendo agganciate a lavoro utile, non sono una buona riserva di valore; il disastroso impatto ambientale del mining (cioè, per così dire, del loro conio) e delle registrazione delle transazioni sulla blockchain rende per me inaccettabile l’esistenza stessa di queste attività finanziarie superflue in un momento in cui l’umanità dovrebbe lottare per raggiungere la neutralità nelle emissioni di gas serra”.
Eppure si parla molto, in certi ambienti, degli NFT e dei loro molteplici usi nel mercato delle opere d’arte digitali. “Se ne parla proprio perché è una bolla speculativa. Chi ci ha investito milioni di euro ha interesse che se ne continui a parlare per evitare che la bolla scoppi. Ogni schema Ponzi ha bisogno del prossimo ‘pollo’ a cui vendere prima che la piramide crolli. Non vedo nessun vantaggio per la comunità nel proliferare degli NFT, che in fin dei conti sono semplicemente dei titoli di proprietà (peraltro, senza valore legale, ma non è neppure questo il punto) su dei link. I link puntano a dei file binari che possono essere liberamente copiati infinite volte, quindi aver registrato sulla blockchain la propria firma su quel file non ha nessun significato utile. Qualcuno ha definito gli NFT come una soluzione alla ricerca di un problema: in effetti, sono soprattutto un modo per alimentare la bolla delle criptovalute”.
Qualcuno sta provando a introdurre l’uso degli NFT nei videogiochi. I risultati tuttavia, conclude il dott. Vanetti, “sono scadentissimi. Il punto è che introdurre la possibilità per i giocatori di vendere dei beni digitali è distruttivo dal punto di vista ludico: tutto diventa speculazione economica e questo va a distruggere ciò che rimane di giocoso nei videogame, già piagate da quelle che ho chiamato forme di ‘monetizzazione sleale’, che spesso usano tecniche di manipolazione psicologica mutuate dal gioco d’azzardo”.
Mauro Vanetti è ghisleriano dal 1998, e ai suoi anni di Collegio ritiene di dovere la sua propensione all’interdisciplinarietà, se non alla “tuttologia”. Lavora soprattutto nello sviluppo di app, si occupa di progettazione di videogame e, in passato, ha scritto sulle ricadute sociali del gioco d’azzardo patologico (Vivere senza slot, Nuovadimensione, 2013). Ha sviluppato il videogioco in realtà aumentata di House of the Dragon (DracARys), a un videogioco educativo per le scuole basato sulle opere dello scultore Arnaldo Pomodoro (Missione Pietrarubbia) e a un videogioco educativo contro i discorsi d’odio (Divide et Impera). Insegna Sviluppo e progettazione videoludica e Narrativa interattiva alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Impegnato attivamente in politica, ha inoltre pubblicato il saggio La sinistra di destra (Alegre, 2019).