All’approssimarsi del centenario della fondazione del Partito Comunista d’Italia, la Provincia Pavese dedica quest’oggi un lungo articolo di Roberto Lodigiani alla figura di Ferruccio Ghinaglia, il nostro Alunno che ebbe una parte attiva nella scissione operata al teatro Goldoni di Livorno il 21 gennaio 1921. Appena ventiduenne, Ghinaglia sarebbe diventato immediatamente il primo leader della sezione pavese del PCdI.
A Livorno lo aveva accompagnato, fra gli altri, un altro ghisleriano che faceva parte del gruppo studentesco socialista, Eugenio Pennati, il quale non avrebbe aderito alla scissione restando così nel PSI. “L’innata serietà di Ghinaglia lo spronò a coltivare gli studi, fino a vincere il concorso al Collegio Ghislieri”, lo ricorda Pennati, nel frattempo divenuto docente di Sociologia presso la facoltà pavese di Economia, scrivendo in ricordo dell’amico sull’Annuario dell’Associazione Alunni per il triennio 1955-’57. “Le idee umanitarie, sbocciando nella schiettezza giovanile, cominciarono presto a fargli intendere il costo di una milizia d’avanguardia lealmente professata”, aggiunge, facendo riferimento all’espulsione di Ghinaglia dalla Scuola allievi ufficiali di Modena, a causa della quale dovette poi prestare servizio da semplice soldato.
“Stagliata sull’orizzonte politico-spirituale, la breve parabola di Ferruccio Ghinaglia acquista però un significato particolare”, continua Pennati. “Molti anni sono trascorsi, ma vivido rimane il ricordo dei lunghi conversari, sotto le volte ispiratrici del Ghislieri. L’incontro avvenne tra noi non per ragioni di studi, essendo egli studente di medicina, né di provenienza, essendo oriundi da distinte città, ma per la comune vocazione politica e il credo comune in un mondo migliore”. Le convinzioni in comune individuate da Pennati erano “la convinzione della catastrofe verso cui il destino slittava”, alla vigilia della dittatura, “il rifiuto alla mistificazione generale, in cui l’orpello ideologico mal copriva i torbidi intenti”, e soprattutto “il dovere di una resistenza a oltranza, mentre il mondo ufficiale precipitava i nostri ideali nell’abisso con uno scoppio di risa”.
Pennati riconosce tuttavia i “motivi diversi che ispiravano il nostro impegno: un punto d’incontro e insieme di divergenza, poiché il fine ci univa, il metodo ci separava”, talché “come sempre avviene quando il fondo passionale domina la ragione, polemizzavamo senza persuaderci”. Più moderato, Pennati resta persuaso che l’estremismo faccia cattivo gioco: “Inutile chiedere la luna, mentre tutto crollava. La politica è l’arte del possibile, e bisognava tener conto di limiti e realtà. A che pro la violenza? Occorreva difendere le conquiste anteriori, la temperatura raggiunta, se si voleva elevarsi a un sole più caldo, a un sistema migliore. Ogni grado perduto – la libertà, il rispetto, la carità umana – non poteva che allontanarci”.
Le obiezioni di Pennati restano tuttavia inascoltate. “Imperterrito Ghinaglia procedeva, come chiamato dai fati. Oggi ancora per intenderlo, bisogna situarlo sul piano politico-religioso. Egli si muoveva su questo, personificazione del mito, che segue la sua legge, fedele al suo sogno, sprezzante della implacabile rete tessuta dal destino”. La sera del 21 aprile 1921 Ghinaglia venne ucciso dopo un’assemblea della Lega Proletaria Mutilati, di cui era fondatore, freddato a revolverate appena di là dal Ponte Coperto, dove oggi sorge la piazza che gli è intitolata. “Quasi presago di appressarsi alla fine, sotto i colpi di un avversario soverchiante”, racconta Pennati, “dettò egli stesso il suo inconscio epitaffio in un articolo vergato poco avanti l’ultima ora: ‘Santa canaglia che lasci brandelli della tua carne nella lotta impari ed irridi alla morte mentre cerchi una vita più umana, tu non puoi morire, l’avvenire è tuo’”.
Il processo contro gli assalitori, terminato nel 1922, mandò tutti assolti. “L’erba era cresciuta sulla tomba di Ghinaglia, la dittatura ormai consolidata. Pure qualcuno compilò, stampò e diffuse a Pavia un piccolo manifesto: il ricordo dell’amico caduto. Grave e sinistro incombeva l’apparato repressivo, macinando senza tregua gli ultimi resistenti. Ma il manifesto conteneva una promessa: ‘Un giorno verrà scolpito un bronzo, che ricorderà anche il Suo martirio’. Dopo trent’anni, fata trahunt”, conclude Pennati facendo riferimento al busto che commemora Ghinaglia a pochi passi dal Ticino.