
“Un’esistenza come quella di Ezio Vanoni è, per noi della stessa generazione, un severo richiamo ai doveri essenziali della vita”. Queste parole sono state pronunziate da Piero Malcovati (1902-1963) – luminare della medicina e grande innovatore nel campo dell’ostetricia – durante la festa di San Pio del 1956 quando, come a ogni primavera, si erano riuniti in Collegio gli Alunni di ogni generazione.
Ezio Vanoni era morto cinquantatreenne in febbraio, a Roma, da Ministro del Bilancio in carica. La memoria del grande economista – anch’egli un innovatore di enorme rilevanza nel proprio campo – che già dal 1947 aveva ricoperto incarichi di Governo, risultando una figura chiave della ricostruzione dell’Italia nel dopoguerra, era quindi vivissima; e inevitabile il rischio che, nel commemorarlo, la personalità istituzionale prevalesse sul profilo dell’uomo, amico e compagno di studi di tanti partecipanti a quel San Pio.
Il breve discorso affidato al suo amico Piero Malcovati, invece, è un ritratto sincero e privo di retorica, adamantino nell’identificare nelle sue origini e negli anni in Collegio le radici dei valori che consentirono a Vanoni di distinguersi lungo tutta la propria carriera politica.
“È giusto, è doveroso che gli uomini pubblici e rappresentativi dicano e ripetano agli italiani – così facili all’oblio e così privi di un’unità di misura per valutare i propri rappresentanti – la vita difficile ed esemplare di Ezio Vanoni”, esordisce Malcovati prima di ricordare come “sopra ogni cosa Vanoni amava il silenzio, perché egli era, come nota fondamentale del suo carattere, un uomo di poche parole. Le nostre lunghe conversazioni lungo gli androni del Collegio o nelle camere, aperte nelle notti estive al chiaro di luna ed al canto dell’usignolo, erano fatte soprattutto di lunghe pause, di penosi silenzi”.
L’intento di Malcovati è “ricordare, meglio di quel che non abbiano fatto i giornali e le commemorazioni ufficiali, come proprio il Ghislieri e questa nostra cara Università e questa nostra vecchia Pavia siano stati fattori basilari, non solo della sua cultura e della sua carriera accademica, ma anche e soprattutto della sua personalità, di quell’umanesimo profondo e integrale che rappresenta l’aspetto più significativo della figura scientifica politica e sociale di Ezio Vanoni”.
Nativo di Morbegno, Vanoni arrivò nella “Pavia universitaria del primo dopoguerra, affollata da una strana e tumultuosa popolazione studentesca, nella quale si incontravano e si confondevano la nostra generazione, poco più che adolescente, e la generazione dei goliardi reduci dalle trincee del Piave e di Vittorio Veneto. Il Ghislieri, appena riaperto agli alunni ex combattenti e di nuova leva, rispecchiava i singolari aspetti di quel mondo universitario: gioiose e scatenate esuberanze goliardiche e pensose contrastanti istanze spirituali e sociali animavano ed agitavano quella ristretta accolita di giovani, così vari per età, per temperamento, per esperienza di vita”. Per Vanoni il Ghislieri fu “una grande palestra: l’incontro di personalità spiccate e diverse, la dialettica degli accesi dibattiti politici letterari teatrali, l’intenso ricambio intellettuale fra colleghi di diverse discipline, le avide letture fatte oggetto di stroncature e di discussioni, i contrasti ideologici accentuati dalla giovanile intransigenza, furono altrettanti elementi formativi di quella saggezza comprensiva e di quell’ampiezza di visione che caratterizzarono Vanoni in tanta parte della sua vita pubblica”.
Malcovati e Vanoni si incontrarono in Collegio durante gli anni bui del fascismo. “Nel 1925”, racconta, “l’anno degli inesorabili giri di vite del regime che aveva ormai spento tutte le libertà, la vita e l’attività del nostro piccolo nucleo, giacobino ed anticonformista, non fu del tutto facile e serena. Fin che ci fu possibile, Vanoni in testa, custodimmo accesa la fiaccola della libertà, tenemmo fede a quel motto ‘ribelli ai tiranni’ che cantavamo a squarciagola sulle note dell’inno goliardico. Poi la vita ci disperse e la pesante cappa di piombo cadde su ciascuno di noi”. Fuori dal Collegio e poi nell’Italia liberata Vanoni “scelse il suo nuovo posto di battaglia, e qui portò ed impose quelle stesse istanze sociali e quel pensiero economico che sin dall’età giovanile lo avevano ispirato e che gli anni e gli studi avevano nel frattempo maturato e coordinato come un corpo di dottrina aderente alle esigenze di vita prospera, di incremento economico e di giustizia sociale di uno Stato moderno. Le sorgenti del pensiero politico ed economico di Vanoni sono ancora qui, tra le colonne di Pio V e quelle di Maria Teresa”.
Infine, ricorda Malcovati, “Vanoni fu anch’egli, come noi tutti, negli anni felici del Ghislieri, goliardo spensierato, con tutti i fermenti di quell’età e la scanzonata esuberanza di quel periodo particolarmente fervido e animato di vita goliardica pavese: i nostri ‘numeri unici’, le nostre riviste e molte nostre feste e manifestazioni di allora, in particolare quelle sportive”. Al Collegio “Vanoni fu fedelissimo e devoto: nessuna carica di governo o di ragioni di Stato poteva tenerlo lontano dal convegno di San Pio e ancora nel dicembre scorso, già gravemente sofferente, non volle mancare al numeroso convegno per il nostro trentesimo anniversario di laurea. Fu quella forse l’unica sua giornata terrena veramente serena e lieta”.
Il discorso Ezio Vanoni ghisleriano di Piero Malcovati si trova nell’Annuario 1955-1956-1957 del Collegio Ghislieri ed è stato stampato come estratto a Pavia dalla Tipografia del libro nel 1958. Entrambi i volumi sono custoditi presso la Biblioteca del Collegio Ghislieri, il cui patrimonio d’archivio sta venendo digitalizzato grazie a un accordo con Google Books.